Vita

Siediti pure: voglio raccontarti una storia su L’Aquila

Dai dai, siediti pure. Oggi voglio raccontarti una storia.

C’era una volta una città, l’Aquila degli Abruzzi si chiamava, ma forse tu la conosci semplicemente come L’Aquila.

Era un posto amato da alcuni ma disprezzato da altri. Che ci vuoi fare, non tutto può piacere a tutti. Purtroppo.

Ma non voglio divagare come mio solito…

Dicevo: L’Aquila. Sai, io ci ho vissuto tanti anni, esclusivamente per motivi universitari te lo dico. A dir la verità ci ho vissuto troppi anni.

Era una città che non ho gradito subito, lo ammetto, ma ero troppo eccitato dall’idea di trasferirmi lì per buttarmi in quel mondo universitario, in quella nuova esperienza di vita (che paroloni eh?), che alla fine accettai tranquillamente il mio trasferimento, seppur con un pizzico di rammarico. Col tempo, poi,quella città l’ho apprezzata tantissimo. Ero troppo abituato alla vita con il mare di fronte, che non ho fatto caso alle montagne attorno. Per fortuna, non è passato troppo tempo prima che me ne accorgessi.

Gli anni, comunque, scorrevano bene dai, tra esami passati alla grande e altri che tardavano ad essere sorpassati. Tante amicizie, ma davvero tantissime ora che ci penso. Tante feste, tante nevicate, tanti sorrisi, tante cene, tante storie da raccontare.

Un giorno decisi di allontanarmi da quel posto, per motivi che non sto qui a descriverti, ma dopo una pausa lunga poco più di un anno, la mia voglia di tornare lì era davvero esasperata. Era diventato il mio mondo di tranquillità. Per fortuna, così come gli anni precedenti, c’era un bel gruppo di persone a farmi compagnia e, ti dirò, lì sono iniziati i periodi ancor più belli.

Non avevo amici con me, avevo una famiglia.

Le giornate trascorrevano come al solito: l’obbligo primario era quello di andare a lezione. E lo si faceva tranquillamente, lo studiare poi era sinceramente più pesante, ma vabbè… Il giovedì sera, poi, ormai era atteso più del weekend: arrivava il giovedì universitario! E lì, tutti in piazza Duomo: feste nei locali, camminate per le vie trafficate da studenti, brindisi nei bar, cornetto di mezzanotte e via a casa. Lo so, lo so, non ti sto descrivendo nulla di singolare, ogni città universitaria porta avanti questa tradizione. Quella, però, era la mia di città!

Come dicevo, le giornate avanzavano, e come sempre erano simili tra loro. Alla primavera subentrava l’estate, all’estate l’autunno, all’autunno seguiva l’inverno. E lì l’inverno aquilano lo sentivi, diamine come si sentiva il freddo!

Ecco, ricordo proprio l’inizio dell’inverno del 2008. Più o meno metà dicembre.

“Cosa è stato? Ma che era una scossa?! Wow!” Era tremato il pavimento, ci credi? Lieve intensità comunque. Tutt’ora non ricordo se mai le avessi percepite prima di allora scosse simili.

E niente, eccone un’altra. Di nuovo! “Ancora?! E che palle!!” Eravamo a marzo ormai.

“Accidenti un’altra, questa però l’ho sentita tutta!” Vediamo che dice il sito INVG, era un’abitudine ormai. “Wow, quasi 4 di magnitudo! Eh, non è poco.” Le scosse aumentavano di intensità e frequenza. La vita a L’Aquila era cambiata da tempo. “E tu, la sci sentita?” era il detto del giorno: tutti che chiedevano a tutti se avevano sentito la scossa percepita da tutta la città. Che storia!

Tra la non voglia di studiare, l’attesa di uscire con gli amici, c’era anche la preoccupazione di questi momenti. Ormai uscire di casa di soprassalto non dico fosse diventata un’abitudine, ma per molti lo era. Pensa, alcuni sono ripartiti e tornati a casa perché preoccupati e spaventati. Le rassicurazioni della Protezione Civile e della Commissione Grandi Rischi con loro hanno fatto cilecca: “State tranquilli!” dicevano.

In quei giorni c’era una leggenda che circolava: raccontava di come, un ragazzo, preso dallo sconforto, avesse preso lo scooter per tornare a casa, a notte fonda. Casa sua distava più di 100km! Pazzesco.

Comunque…

Ricordo che il 5 aprile, prima delle 11 di sera, una scossa ci allarmò tutti. Casa mia tremò tantissimo. Io e il mio coinquilino uscimmo subito per raggiungere delle amiche spaventate in piazza. Niente da fare, non si smetteva più: “5 mesi di continue scosse! Invivibile! Meglio farci un giro all’aperto stasera e distrarci va”.

Mezzanotte e quaranta: un cocktail ad un bar in piazza Duomo ed eccolo qua, un altro dannato tremore della terra. “Tutti fuori dal bar!” Che stress.

Tornammo a casa: eravamo stanchi e il giorno dopo ci attendeva una nuova giornata.

Quella notte – la giornata – iniziò alle ore 3 e 32: arrivò la scossa più potente di tutte, 5.9 di magnitudo.

La casa sobbalzava, tutti gli oggetti cadevano, gli allarmi suonavano, le urla aumetavano, il caos era tutt’attorno: 309 vite, invece, erano state spezzate in pochi secondi. Elvio, Davide e tantissimi altri.

Per alcuni imprenditori, però, quella era l’occasione giusta per telefonarsi e farsi una bella risata: i loro affari sarebbero andati a gonfie vele! Ora che ci penso mi torna in mente un’altra storia… Uno di questi imprenditori, anni dopo, fu aggredito mentre camminava per le vie di Roma: lo accusavano di essere ‘un uomo di merda’ per alcuni motivi legati a dei suoi lavori. Che tristezza però: è stato davvero un peccato che non sono stati degli aquilani ad incrociarlo per la strada.

Come reagirono, invece, le istituzioni?

C’è chi, all’epoca Presidente del Consiglio, offrì agli sfollati delle case. Gratis! “Beh dai, bello no?” potresti pensare. Dai su, lo sai che dei politici non ti puoi fidare e poi nessuno di quel mondo lì regala niente. Per farmi capire meglio ti ri-descrivo il fatto: c’è chi offrì agli sfollati delle C.A.S.E.
La noti la differenza ora? Il suono è lo stesso, ma il significato no. Le C.A.S.E. sono dei complessi anti-sismici temporanei e non saranno mai (come una) casa tua! Ah, non chiedermi però quanto dura questo periodo ‘temporaneo’: su 50 anni di vita, anche viverci 10 anni potrebbe essere temporaneo a tutti gli effetti. Decisamente non bello, vero? Inoltre, mentre ti scrivo, sono uscite notizie che affermano come queste C.A.S.E., a distanza di 7 anni, stiano perdendo continuamente pezzi: ogni tanto, negli ultimi anni infatti, un balcone semplicemente… cade. E senza che ci siano scosse! Riflettici un po’… ma riflettici bene perché dovresti capire che se da un lato non sono così affidabili come complessi abitativi, dall’altro dovresti intuire che, ad oggi, c’è ancora qualcuno dentro che ci sta abitando!

Il Rettore dell’Università aquilana sai cosa fece invece? Per venire incontro ai bisogni di sicurezza e stabilità degli studenti, bloccò tutti i trasferimenti verso gli altri atenei italiani. Fantastico eh? Chi aveva ansia e paura di vivere in una città che per anni avrebbe avuto continue scosse (una per ogni ricordo legato a quella notte) o chi preferiva continuare i suoi studi, in maniera sicuramente più celere possibile e in un posto più tranquillo e rilassante, si è visto invece costretto a soddisfare le regole di un bambino capriccioso che decideva ogni cosa a nome di tutti, senza però ascoltare i voleri di questi ‘tutti’. Che bello quando la voce del popolo viene resa muta.

Alcuni studenti, però, hanno deciso di tornare mesi dopo, quando diverse facoltà riaprirono le loro porte. Hanno cercato di trovare un appoggio fuori la città colpita pur di non lasciare quel posto pieno di ricordi.

E io il ricordo migliore ce l’ho legato ad una sera: lungo via della Croce Rossa, la strada che ha visto rinascere temporaneamente diversi locali e bar (mete preferite degli studenti negli anni precedenti), ho visto alcuni ragazzi stringersi la mano, presentarsi a vicenda e abbracciarsi senza essersi mai visti prima. Gente che ti fermava solo per chiederti da dove venissi e cosa stavi studiando.

I giorni a seguito del 6 aprile non ancora terminano. Ancora oggi, sui social, suonano le note della canzone “Domani”, ma la città in tanti punti non è cambiata. E domani è già qui: sono passati 7 anni ormai.

Non mi resta altro che pensare ferreamente a quell’abbraccio tra persone sconosciute e pensare che, forse, la città stava almeno già cambiando dentro di sé. Ora aspettiamo di vederla cambiare anche da fuori affinché possa brillare nuovamente come un tempo.

per_non_dimenticare